SOCIETÀ DI STUDI GOVERNAMENTALI (SSG)
La Società di Studi Governamentali è un’associazione di studiosi di diversa provenienza e di diversi settori scientifico-disciplinari, interessati allo sviluppo di questo ambito di studi. Essa vuole costituire un punto di riferimento, uno strumento di comunicazione e promozione e soprattutto un luogo di incontro e di riflessione comune sullo stato attuale di queste ricerche e sulle loro condizioni di possibilità, anche in rapporto alle nuove politiche nazionali e internazionali dell’istruzione e della ricerca. La Società intende favorire la valorizzazione di questi studi e la loro circolazione tramite ogni opportuna iniziativa e in questo senso si propone come interlocutore per altre società disciplinari, istituzioni e organi di governo a vario livello. Il senso della Società di Studi Governamentali è dare forma più definita anche nel nostro paese ad una tradizione di studi ormai ampiamente diffusa nel mondo e ben sedimentata nelle sue pratiche e nei suoi indirizzi.
“Studi governamentali” traduce l’espressione anglosassone “governmentality studies”, che a partire dagli anni ’80 del secolo scorso ha preso a designare un’area di studi sorta in modo piuttosto spontaneo, senza indicazioni e rigidità di scuola, attorno alla nozione foucaultiana di governamentalità. Nella formazione del nuovo modo di interrogare ambiti del sapere e della realtà ha avuto anche peso il fortunato volume curato da Graham Burchell, Colin Gordon, Peter Miller The Foucault Effect: Studies in Governmentality (1991), definito da più parti un evento proprio per la capacità “di inaugurare una nuova area di studi (o quanto meno di renderla più visibile)”.
Più che sui meccanismi di legittimazione del potere e/o sulle sue maschere – sugli oggetti e i soggetti del potere – questi studi si concentrano sulle concrete pratiche storiche o sui sistemi di pratiche e sulle conoscenze che ne sono parte, per esaminare nel modo più concreto quali forme specifiche, non neutrali, di razionalità vi operano e quali finalità, anche conflittuali, si inscrivono in esse, giacché le pratiche – come dice Foucault – non esistono senza un regime di razionalità loro proprio. Negli ultimi decenni, anche grazie all’attività di insegnamento e di ricerca svolta all’estero da Foucault, gli studi governamentali si sono sviluppati intensamente tra Europa e America (nord e sud), ampliando di molto i loro confini geografici (cfr. tra gli altri il “South Asian Governmentalities research group”) come pure la loro penetrazione. In Italia questi studi hanno trovato subito accoglienza tra gli studiosi e accademici più aperti al confronto internazionale e pronti a intercettare i maggiori mutamenti di ordine teorico e metodologico. A differenza che in altri casi, l’ambiente scientifico italiano ha contribuito direttamente all’affermazione del nuovo settore di studi: non è un fatto episodico, ad esempio, che la prima pubblicazione di un estratto dei corsi di Foucault sulla governamentalità abbia luogo in italiano (su “aut aut” nel 1978) e solamente dopo in francese e in inglese.
“Governmental” e “Governmentality” rimandano appunto ai termini “gouvernemental” e “gouvernementalité” adoperati nei corsi al Collège de France del 1977-78 su Sicurezza, Territorio, Popolazione e del 1978-79 su Nascita della biopolitica. Si tratta di parole presenti in lingua inglese e francese da tempo (soprattutto l’aggettivo: anche in italiano si trovano ricorrenze di “governamentale” fin dal XIX secolo per intendere appartenente o pertinente al governo), ma che subiscono un precisa torsione – tanto da far parlare di “neologismo” – nella seconda metà del XX secolo, a partire dall’uso di “gouvernementalité” da parte di Roland Barthes per designare “il governo concepito dalla grande stampa come Essenza d’efficacia” (Le mythe, aujourd’hui, 1956), e poi appunto con Foucault. Per quest’ultimo – come si legge nella lezione del 1 febbraio 1978, una delle rare definizioni esplicite del concetto che è dato trovare – con la parola governamentalità si vogliono dire “tre cose. Con governamentalità intendo l’insieme costituito da istituzioni, procedure, analisi e riflessioni, calcoli e tattiche che permettono di esercitare questa forma specifica e assai complessa di potere, che ha nella popolazione il bersaglio principale, nell’economia politica la forma privilegiata di sapere e nei dispositivi di sicurezza lo strumento tecnico essenziale. In secondo luogo, per governamentalità intendo la tendenza, la linea di forza che, in tutto l’Occidente e da lungo tempo, continua ad affermare la preminenza di questo tipo di potere che chiamiamo governo su tutti gli altri – sovranità, disciplina –, col conseguente sviluppo, da un lato, di una serie di apparati specifici di governo, e, [dall’altro,] di una serie di saperi. Infine, per governamentalità credo che bisognerebbe intendere il processo, o piuttosto il risultato del processo, mediante il quale lo stato di giustizia del Medioevo, divenuto stato amministrativo nel corso del XV e XVI secolo, si è trovato gradualmente governamentalizzato”.
Lasciata ai margini la tradizionale nozione astratta e statica di “sovranità” e di “potere sovrano”, l’idea foucaultiana di governamentalità mette così a fuoco l’insieme composito, variegato, di pratiche circoscritte e multiple, tra loro coerenti o incoerenti, concordanti ma anche rivali, attraverso le quali, in modo diretto o indiretto, si dispiega la direzione dei comportamenti individuali e collettivi, o, per usare un’altra espressione chiave degli studi governamentali , una “conduzione delle condotte” di singoli individui o gruppi. La governamentalità mette cioè a tema il governo degli uomini, portando in primo piano le diverse tecnologie di governo di sé e degli altri – istituzioni, procedure, analisi, calcoli, ma anche saperi e la stessa cultura (che a sua volta può essere genealogicamente decostruita come un insieme di tecnologie di disciplinamento e autodisciplinamento intese a governare le condotte) – attraverso le quali il potere governa, ma appunto non in forza dell’imperativa unità di un comando e della cieca sottomissione, bensì attivando specifiche razionalità di governo e autogoverno. Particolare rilievo assume questo stile di analisi a fronte delle trasformazioni della politica proprie della governamentalità neoliberale contemporanea, dove si assiste – piuttosto che a un passo indietro dello stato rispetto alla società – ad uno spostamento delle tecniche di governo da formali a informali e alla comparsa di nuovi attori e dispositivi, che ristrutturano i rapporti di potere nella società a favore di un’assai più capillare capacità di governo.
Benché erronea, l’etimologia dell’espressione governamentalità dall’unione dei termini “governo” e “mentalità”, in cui ancora capita di imbattersi, mette tuttavia correttamente in luce come non si possa prescindere, nell’analisi delle tecnologie del potere, dalla specifica razionalità che è loro di volta in volta sottesa, ovvero, dai “regimi di verità” che ogni pratica di governo di sé e degli altri istituisce; ugualmente, essa richiama l’attenzione sui processi di soggettivazione che la governamentalità dispiega in quanto governo degli individui (o anche cura delle anime, giusta la sua provenienza dal potere pastorale).
Foucault parla a questo proposito di psicagogia, ossia di una “trasmissione di verità la cui funzione non è di equipaggiare un soggetto individuale con delle attitudini, ma di modificare l’essere di quel soggetto” (L’herméneutique du sujet, 1982), oppure di governo degli uomini attraverso il discorso di verità che sono in grado di produrre su se stessi (Du gouvernement des vivants, 1980). Il campo di indagine si allarga così a questioni di ordine più propriamente etico e morale, riguardanti il costume, l’habitus, la genealogia del soggetto “responsabile” da un lato, come anche, dall’altro, le resistenze e controcondotte innescate in modo più o meno consapevole.
Anche su questo versante, gli studi governamentali non intendono sottoporre a un esame critico-normativo le condotte considerate al fine di verificare il loro grado di razionalità, ossia quanto esse siano conformi a ragione o ragioni (sostanziali o formali), né intendono procedere a costruzioni di carattere idealtipico. Essi intendono piuttosto proseguire nella direzione – o meglio, nelle direzioni – di un insegnamento che si è in vario modo disseminato, disperso, ibridato con approcci diversi e diverse tradizioni di studio e scuole di pensiero (marxismo, strutturalismo, psicoanalisi, fenomenologia…), il cui tratto comune è oggi un metodo di ricerca che si concentra non tanto sul perché di eventi e cose ma sulle modalità del loro accadimento e sulle differenze, gli scarti, le rotture che hanno segnato. Gli strumenti di analisi sono qui flessibili, mobili, aperti ad impieghi diversi. Come anche i singoli oggetti di indagine possono essere ampiamente variabili, ferma restando l’interrogazione che guida l’analisi, incentrata sulle forme di potere, di autorità e di soggettività implicate nelle tecniche e nelle tecnologie messe in opera, nonché nelle forme culturali (letteratura, arte, retorica pubblica…) che valgono da modalità, espressione o tipo di governo e di egemonia. Così in questa disciplina di studi, che nasce intrinsecamente interdisciplinare e/o multidisciplinare, confluiscono saperi e conoscenze che attingono alle più tradizionali discipline economiche, filosofiche, giuridiche, storiche, letterarie, e alle scienze sociali, antropologiche e religiose in generale, ma che si ampliano anche alla più aperta accezione delle scienze umane, dall’urbanistica alla critica dell’economia politica, dalla medicina alla genetica, dalla linguistica alla semiologia, dalla statistica alle teorie dell’organizzazione, fino alle declinazioni più specifiche e innovative: scienze attuariali, critical management studies, science and technology studies, studi di genere, surveillance studies, scienze della polizia e del crimine, studi postcoloniali e tutte le nuove indagini relative alle politiche della salute, dell’istruzione, della sicurezza eccetera, in un’estensione cui non vanno imposti confini se non quelli segnati da un metodo genealogico in senso ampio – ovvero che fa riferimento all’analisi delle pratiche reali – e da un ethos critico dell’investigazione ormai consolidati.
Su queste basi, la Società è aperta a docenti e ricercatori attivi nelle università e negli enti di ricerca italiani, ma anche a studiosi attivi in altre strutture e fuori dall’Italia, che ne condividano l’ispirazione e il progetto.